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Intendevi dire: 

Può venditore intimorire utente di adire vie legali nel caso ricevesse negativo?

Buonasera

ho acquistato maglia polo che si è rivelata non conforme alla descrizione; fatte le sacrosante rimostranze al venditore, lo stesso impone la restituzione per il rimborso, facendo chiaramente intendere che se avessi dato feed rosso si sarebbe rivolto a legali. Non ho dato seguito al suo avvertimento e, tralasciando al momento giudizio negativo, ho aperto controversia tramutata immediatamente in reclamo. Dunque a dare rosso si rischia davvero complicazioni legali? Dal momento che non è obbligatorio il feed, meglio dunque dimenticare? Grazie per l'attenzione

Messaggio 1 di 29
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28 RISPOSTE 28

Può venditore intimorire utente di adire vie legali nel caso ricevesse negativo?


@misterious_shadow ha scritto:

Si Roberto, ma dobbiamo cercare di analizzare le cose sempre da un punto di vista più "asettico". In casi come questi si deve vedere l'aspetto dal punto di vista "generale".

Nessuno in partenza sa chi abbia la ragione, nessuno sa dove sia il vero, e nessuno può dire con certezza che chi dia il negativo sia la parte lesa e che abbia la ragione a prescindere. Non si può vedere subito e quindi la potenzialità esiste a tutti gli effetti.

E se anche la parte acquirente è lesa in alcuni casi e per altri comportamenti ricevuti, non è detto che abbia liceità di ledere a sua volta.

 

Poi è chiaro che si debbano portare prove, l'ho già detto anche io e lo ripeto, ed in particolare si deve provare la volontà di compiere il reato e la consapevolezza di creare del danno. Ma se questo succede ........ direttori di giornali entrati in carcere o "megafoni" di movimenti politici attuali condannati più volte al carcere per queste cose dovrebbero fare scuola.


Concordo in pieno.

Infatti mia filosofia di vita è:

troviamo un accordo che tra persone dotate di buon senso e civiltà...al di là delle norme giuridiche,regole,tribunali,sentenze etc.etc. una giusta e sana soluzione sempre la si può raggiungere in questi casi.

 

Detta alla spiccia:

Volemosi bene,la vita è breve e già difficile di suo per doversela complicare ulteriormente litigando e non ragionando.

Smiley Strizza l'occhio

Ritengo tu in questo caso "non possa eccepire"...giusto???

 

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L'intelligenza è una virtù usiamola bene.

Living room...for everyone...without offense
Messaggio 11 di 29
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Può venditore intimorire utente di adire vie legali nel caso ricevesse negativo?

Saggia filosofia e corretto vivere civile. Io lo dico sempre che si ha bisogno di qualche causa in meno e di qualche accordo civile e corretto in più.

Purtroppo invece sono in molti che hanno la malatia della "tribunalite" e ci si finisce sempre in mezzo perché esiste qualcuno che non è stato abbastanza equilibrato da aggiustare per bene da solo le cose.

Ed anche per questo che spesso mi capita di esortare nel forum la gente a "scordarsi" che il feedback negativo esiste. Io l'ho fatto oramai da tempo immemore ed ho sempre evitato di rilasciarne in tutte le situazioni ed ho sempre preferito altro.

E credo che sia una scelta assolutamente e comunque vincente. Se lo è per me lo è per chiunque.

Ed io ai membri etici, civili e corretti di ebay ci tengo molto.

 

Ciao

 

p.s. Bellissmo lo smile gigante!. Vorrei essere capace di gestirli anche io nel forum in maniera ben fatta come in questo caso, ed invece sono un impiastro e manifesto sempre tutti i miei limiti in queste cose.

Mi fai quasi, quasi, venire un pochino di invidia..... ma solo un pochino sia chiaro.

Messaggio 12 di 29
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Può venditore intimorire utente di adire vie legali nel caso ricevesse negativo?

p.s. Bellissmo lo smile gigante!. Vorrei essere capace di gestirli anche io nel forum in maniera ben fatta come in questo caso, ed invece sono un impiastro e manifesto sempre tutti i miei limiti in queste cose.

Mi fai quasi, quasi, venire un pochino di invidia..... ma solo un pochino sia chiaro.

 

Nààààààààààà!!!

 

invidia no...per questi vezzosi,simpatici ma superflui post it  poi...dai se ti garba per davvero (solo un pochino sia chiaro Smiley Strizza l'occhio) sarò ben lieto di farti capire la loro applicabilità nei post della Community...chiaramente nelle opportune Sedi!!!

 

imagesUZNJ80B2.jpgCiao Misterious buona giornata ed ancora grazie

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Living room...for everyone...without offense
Messaggio 13 di 29
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Può venditore intimorire utente di adire vie legali nel caso ricevesse negativo?

Grazie per suggerimento valido federico.92, ci penserò bene prima di emettere feed negativo, sarebbe la prima volta

 

 

 

Messaggio 14 di 29
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Può venditore intimorire utente di adire vie legali nel caso ricevesse negativo?

"

Il dare un oggetto rosa invece che rosso come pattuito in precedenza non è un reato penalmente rilevante. E' invece una inadempienza contrattuale.

Questo non è un rea"to di per se stesso ma una classica situazione di disaccordo civile che con procedimento civile si risolve. Il giudizio per diritto civile si occupa di situazioni di causa che sono frutto di disaccordo tra le parti e non di reati di per se stessi e quindi è inutile pensare che chi sia coinvolto in un procedimento del genere compia un qualche reato penalmente rilevante."

 

NO!

 

<<Dispositivo dell'art. 515 Codice Penale

Chiunque, nell'esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico (1), consegna (2) all'acquirente (3) una cosa mobile per un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita (4), è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto [440-445, 455-459], con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a duemilasessantacinque euro.
Se si tratta di oggetti preziosi (5), la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a centotre euro.>>

Messaggio 15 di 29
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Può venditore intimorire utente di adire vie legali nel caso ricevesse negativo?

Ancora si continua ad argomentare su articoli del codice penale che non si capiscono? O si vuole anche cercare di insegnare che cosa sia la frode in commercio magari. Dovrei spiegarti che cosa significhi il termine aliud pro alio, la motiìvazione della frode e che tutte le cose lì elencate sono elementi fondamentali per la configurazione della frode che deve presupporre inganno e volontà di effettuarlo e quindi devi dare un bene che prometti essere una cosa ed invece è assolutamente un'altra. O credi veramente che la variazione di un colore di un oggetto esattamente corrispondente all'acquistato sia una frode in commercio?

Io ti consiglierei uno studio molto profondo e sano di quello che è il diritto per bene approffondire.

Io, nel frattempo e prima di avere raggiunto una vasta e solida esperienza su questi argomenti, fossi in te mi asterrei da proporre rimedi ed interpretazioni del tutto soggettive ed assolutamente dubbie su questi argomenti.

Fanno danni e si rischia anche che qualcuno finisca pure per crederci sul serio (e questo sarebbe si un grave danno).

Messaggio 16 di 29
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Può venditore intimorire utente di adire vie legali nel caso ricevesse negativo?

Riporto un articolo scritto da un avvocato Criminologo forense (dato che a quanto pare io esprimerei opinioni "dubbie" e molto soggettive) interessante il fatto che l'articolo riporti pressochè ciò che ho detto io:


Cercando il testo su google, si arriva alla pagina di chi ha scritto l'articolo, con tanto di nome, cognome, e curriculum.



"In questi anni sono proliferati in rete siti web che raccolgono le opinioni degli utenti sui più disparati servizi e prodotti, sui quali gli utenti stessi sono invitati ad esprimere le proprie opinioni e ad effettuare recensioni sui prodotti e servizi al fine di condividere, con il popolo della rete, entusiasmi e delusioni derivanti da esperienze di shopping e non solo.
Dal punto di vista tecnico si parla di “feedback” degli utenti, ma la questione si fa delicata in quanto eventuali pareri negativi possono essere causa di danni (anche ingenti) ai professionisti, e non solo, che, spesso e volentieri, manifestano il proprio disappunto etichettando come “diffamatori” i commenti a loro contrari. C’è da chiedersi quando un “feedback negativo” possa essere considerato esercizio di un sacrosanto diritto di critica e quando, invece, come attività diffamatoria e, pertanto, illegittima e sanzionabile sia penalmente che civilmente.
Postare un “feedback negativo” su Internet non può che essere visto come una delle possibili estrinsecazioni della libertà di pensiero garantita dall’art. 21 della Costituzione, secondo il quale <<tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione>>. Alla luce del disposto costituzionale, quindi, considerare a priori un “feedback negativo” come diffamatorio è senz’altro sbagliato ma lo è anche asserire nettamente, e senza una attenta valutazione, il contrario. Se da un lato la costituzione tutela la liberà di critica, dall’altro l’ordinamento giuridico non può dimenticare di offrire la giusta protezione anche ad altri diritti, come quello di non vedere leso il proprio onore e la propria reputazione. Più precisamente, possiamo dire che il diritto di critica, per essere considerato legittimo, deve essere esercitato con pertinenza e continenza al fine di non uscire dalla sfera del lecito. Quando il “feedback negativo” supera i confini della legittimità e sfocia nell’insulto, nella menzogna o nella totale tendenziosità, è lecito ipotizzare la violazione dell’art. 595 del codice penale che definisce, appunto, il reato di diffamazione.

L’interesse tutelato dal reato di diffamazione è, come sappiamo, la reputazione intesa come quell’opinione che l’individuo gode in seno alla società per carattere, ingegno, abilità professionale ed attributi personali. In questo senso la reputazione non s’identifica con la considerazione che ciascuno ha di sè (Cfr. Cass. pen. n. 3247/95 e n. 7157/06), ma con il senso della dignità, in conformità all’opinione del gruppo sociale ed è proprio questo che non può essere leso con il “feedback negativo” contrario al buon senso.
Un “feedback negativo” si definisce pertinente quando sussiste un interesse pubblico alla sua diffusione e, dunque, può essere ritenuto giustificato il dibattito aperto in un sito web dedicato al prodotto della discussione e dove vi sono potenziali acquirenti o semplici appassionati del settore. Viceversa, però, non sussiste un interesse pubblico quando la critica è fine a se stessa ed è formulata con il solo obiettivo di danneggiare la reputazione del venditore. Oltre ad essere pertinente, un “feedback negativo” deve anche essere continente, questo vuol dire che la narrazione dei fatti deve avvenire in modo corretto, senza cioè raccontare falsità e mantenendo sempre un approccio obiettivo (orientato ai fatti e non alle opinioni) ed educato. Raccontare un esperienza fasulla, perchè mai avvenuta o avvenuta diversamente, potrebbe, pertanto, essere piuttosto rischioso, così come potrebbe comportare seri problemi una narrazione che, seppur veritiera, sia infarcita di insulti o di opinioni personali (e come tali opinabili). Per esempio dire che un’esperienza di shopping on-line si è conclusa male, in quanto non si è ricevuta la merce ordinata e pagata, è certamente continente, mentre lo sarebbe molto meno sentenziare dicendo che il venditore è un ladro perchè, ad esempio, il nostro potrebbe essere un caso isolato e frutto di un semplice equivoco.
Alla luce di quanto detto possiamo affermare che la pubblicazione di un “feedback negativo” è sicuramente legittima quando:

sussiste un interesse pubblico nella conoscenza dei fatti;
i fatti narrati sono, innanzitutto, veri e vengono descritti in modo preciso ed obiettivo;
il linguaggio e la terminologia utilizzata sono educati e non tendenziosi;
non vengono diffuse opinioni personali e giudizi ma si rimane nel confine della mera narrazione di quanto accaduto, lasciando poi al lettore il compito di trarne le dovute conclusioni."



 

Messaggio 17 di 29
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Può venditore intimorire utente di adire vie legali nel caso ricevesse negativo?

Parte 1:

 

Ecco un'altro articolo trovato al riguardo, casualmente  anche questo, ribadisce le stesse cose che dico io(toh, che sopresa!):



<<Diritto di critica del consumatore e diffamazione online del venditore

 

Una delle caratteristiche più interessanti della rete sono gli strumenti messi a disposizione per il confronto e la condivisione d’informazioni.

Nel trionfo del “social” gli utenti in rete si confrontano alla ricerca di esperienze positive e negative che possano essere d’esempio per la community.

Di particolare interesse sono i forum riguardanti gli acquisti di beni o servizi, dove i consumatori condividono la propria esperienza al fine di risolvere i problemi più comuni in rete (ritardi nella spedizione, applicazione di sconti, ecc…).

Spesso, nello scambiarsi opinioni, rilevando le ragioni per scegliere un determinato negoziante piuttosto che un altro, capita di leggere frasi colorite non esattamente di buon gusto che portano gli amministratori a rimuovere i commenti e gli autori a essere coinvolti in un procedimento penale per diffamazione denunciato dai negozianti vittime delle critiche.

Infatti se “nessun ostacolo può sussistere nel ritenere la diffusione di uno scritto a mezzo internet quale concreta manifestazione del proprio pensiero” (Cassazione penale  sez. V 10 gennaio 2011 n. 7155), dall’altro vi sono limiti ben precisi da non superare.

Le riflessioni di questo scritto, dove ogni riferimento è del tutto casuale, sono nate dalla rimozione di alcuni post sul forum di importanza nazionale riguardanti l’opinione degli utenti a proposito dell’esperienza d’acquisto su un determinato negozio online.

 

I commenti di risposta, se da un lato illustravano l’esperienza negativa degli altri utenti, riportavano gli accadimenti con una serie di considerazioni valutabili come “attacchi” sia alla struttura e sia alla persona dell’amministratore legale del negozio online.

Purtroppo sappiamo come alcuni sfoghi di gruppo, se pur mossi da una “giusta causa”, possono in certi casi tramutarsi in una vera gogna mediatica causate da coloro che, forti del loro nickname o presi dalla rabbia del momento, abusano del loro “diritto di critica” finendo nel muovere accuse volgari al sol fine di ledere la dignità e l’onore del negoziante.

La rete ancora una volta si manifesta come un formidabile strumento di democrazia capace di esaltare il “consumo critico e responsabile” partendo dalle scelte dei singoli acquirenti.

Questo fattore trova perfetto coronamento nel mondo del commercio non tanto verso il singolo prodotto venduto su larga scala (talvolta protetto da inspiegabili schiere di fan-boy), ma verso i singoli rivenditori che fanno della loro reputazione online e dell’indicizzazione in rete il primo strumento di business. L’art. 21 della Costituzione che sancisce la libertà di pensiero, con cui “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione“,  regola il mercato attraverso i consumatori attivi e informati decidendo chi merita o meno un buon feedback commerciale su internet.

 

2. Il diritto all’onore e alla reputazione del rivenditore

Abbiamo visto quando scrivere diventa reato, individuando gli elementi essenziali dell’art. 595 del codice penale a cui rimandiamo per i requisiti di carattere formale già oggetto di approfondimento.

L’articolo dispone che  “chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con piu’ persone, offende l’altrui reputazione, e’ punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire due milioni. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena e’ della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a lire quattro milioni. Se l’offesa e’ recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicita’, ovvero in atto pubblico, la pena e’ della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a lire un milione. Se l’offesa e’ recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorita’ costituita in collegio, le pene sono aumentate“.

L’interesse tutelato dal reato di diffamazione è la reputazione intesa come quell’opinione che l’individuo gode in seno alla società per carattere, ingegno, abilità professionale ed attributi personali.

In questo senso, la reputazione non s’identifica con la considerazione che ciascuno ha di sè (per il semplice amor proprio), ma con il senso della dignità, in conformità all’opinione del gruppo sociale.

In parole semplici, se un venditore non è un buon venditore a causa di consegne non puntuali, prezzi sopra la media, prodotti non conformi alle descrizioni, sarà considerato poco competitivo ma non potrà certamente essere umiliato e denigrato per ciò che offre al pubblico. Allo stesso modo, critiche di altra natura connesse a “recensioni” sui prodotti e servizi sono considerate perfettamente lecite se esposte nei limiti della “buona educazione”. E’ normale, infatti, per un rivenditore che offra la propria merce al pubblico, esporsi alle regole del mercato e quindi alle critiche e recensioni degli utenti sulla sua attività anche se tali commenti non sono positivi.

La Corte di Cassazione ha ormai affermato che non costituiscono offese alla reputazione le critiche, le sconvenienze, l’infrazione della suscettibilità o la gelosa riservatezza (Sez. 5 set. 3247 del 1995 rv. 201045). Vediamo quindi come bilanciare il diritto di critica del consumatore con il diritto alla reputazione del rivenditore.

 

3. Diritto di critica del consumatore e diritto all’oblio del rivenditore

L’art. 21 della Costituzione sancisce il principio per cui tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

Ovviamente, la libertà di manifestazione del pensiero soggiace solo ai noti limiti, imposti dalla tutela della persona umana (parimenti tutelati dalla Costituzione agli articoli 2 e 3), i quali si concretizzano nella tutela del diritto all’immagine, al nome, all’onore, alla reputazione, alla riservatezza, e agli altri diritti fondamentali dell’individuo.

Il diritto di critica e il diritto all’onore trovano il necessario bilanciamento tra i diritti di rango costituzionale, con la conseguenza che il diritto d’informazione o di critica potrà esercitarsi anche qualora ne derivi una lesione all’eventuale prestigio di un negozio online, a condizione che si tratti di un argomento di pubblico interesse (c.d. pertinenza), che siano rispettati i limiti dell’obiettività e della correttezza della forma espressiva (c.d. continenza) e che l’informazione sia sostanzialmente vera e circoscritta.

Tali requisiti discendono da un’impostazione giornalistica della pubblicazione delle notizie, ma appartengono anche a coloro che con il loro scritto fanno informazione (Cass. pen., Sez. V, 1º luglio 2008, n. 31392, in Dir. inf., 2008, 808, “solo l’esistenza di tali presupposti, infatti, attribuisce efficacia scriminante ai diritti di cronaca e critica da chiunque e con qualsiasi mezzo esercitati” e Cass. pen., Sez. V, 1º luglio 2008, n. 31392).

In ottemperanza a tali principi è importante che non venga riportata una informazione lesiva del commercio altrui sulla base del “sentito dire”.

In tema di diffamazione a mezzo stampa, la veridicità dei fatti riportati, la pertinenza della notizia e la continenza di questa costituiscono canoni comparativi che il giudice del merito deve utilizzare per svolgere l’accertamento intorno alla sussistenza del diritto di cronaca e di critica e, dunque, intorno alla liceità o meno dell’espressione giornalistica utilizzata. Tuttavia, non ogni inesattezza conferisce di per sé stessa carattere diffamatorio all’articolo giornalistico, essendo pur sempre necessario che il giudice accerti se la discrasia tra realtà oggettiva ed i fatti così come esposti nell’articolo abbiano effettivamente la capacità di offendere llaltrui reputazione. Costituisce questo un giudizio di merito che, se motivato in modo congruo e logico, resta immune da censure in sede di legittimità (Cassazione civile  sez. III 19 novembre 2010 n. 23468 conforme a Cass. 18 ottobre 2005, n. 20140).

La “memoria della rete” non aiuta il rivenditore online che potrebbe trovarsi a “pagare” per alcuni obsoleti commenti negativi ben indicizzati rispetto a numerosi commenti positivi su forum poco conosciuti. In questo senso è comprensibile il “diritto all’oblio” invocato da alcuni negozianti che vorrebbero poter superare, senza lasciare tracce, difetti di gioventù legati a inadempimenti contrattuali.

Vi è inoltre da tenere in considerazione che vi sono tecniche di marketing illegali e molto subdole, consistenti nel criticare la concorrenza per mezzo di commenti negativi che integrano veri e propri atteggiamenti di concorrenza sleale.

 

4. “Quel negoziante è un ladro”. Come raccontare una brutta esperienza.

Premesso che la materia è molto complessa e sarebbe necessario verificare ogni singolo caso, è bene rilevare che non basta essere querelati per diffamazione perché il procedimento si termini con una condanna, dovendo ricorrere tutti i presupposti di cui all’art. 595 c.p..

Il buon senso è uno strumento fondamentale in questi casi che spesso supera qualunque prescrizione della Cassazione.

Ad esempio, rivolgersi al negoziante, descrivendolo “ladro”, “delinquente”, “truffatore” per un ritardo di consegna, può essere certamente considerata una diffamazione a mezzo internet. Sappiamo infatti che il consumatore ha già una serie di strumenti da utilizzare in caso di problemi con gli acquisti (attraverso il modello di diffida ad adempiere) o nel recuperare il denaro perso (attraverso il modello di messa in mora) per tutelare in sede civile gli inadempimenti contrattuali di cui è stato vittima.

Infatti, il mancato rispetto dei termini di vendita, costituisce un illecito civile, di natura contrattuale, che non giustifica offese e denigrazioni all’onore e alla reputazione del negoziante.

E’ necessario pesare quindi ogni parola senza temere di affermare la verità. In questo senso,  non integra il reato di diffamazione la condotta del condomino che definisce pubblicamente latitante e incompetente l’amministratore di condominio; nella specie, infatti, sussiste la scriminante del diritto di critica (la Corte ha osservato che rivolgendo delle critiche all’operato dell’amministratore, per le gravi carenze di manutenzione del palazzo e invitando gli altri condomini ad attivare i loro poteri di controllo sull’amministratore, il condomino-imputato aveva esercitato non solo il proprio diritto di libera manifestazione del pensiero, ma anche lo specifico diritto, quale condomino dello stabile, di controllare l’operato dell’amministratore e di denunciare le eventuali irregolarità riscontrate. In particolare, la parola latitante non determinava alcuna aggressione alla sfera morale dell’amministratore, ma solo una censura delle attività non svolte; in tale contesto, tale termine era stato usato nell’accezione corrente di qualcuno che evita di farsi vedere al fine di non ottemperare ai suoi doveri, per i quali è pagato), Cassazione penale  sez. V 11 novembre 2010 n. 3372.

Riportiamo alcuni consigli da tenere a mente che possono essere di riferimento per evitare di passare dalla parte del torto nel raccontare la propria esperienza.

Costituiscono diffamazione:

– le informazioni false, meramente insinuanti, le subdole allusioni (anche se riportate in forma dubitativa);

– le parole offensive, gli epiteti denigratori e gli accostamenti lesivi socialmente interpretabili come offensivi;

– le informazioni denigratorie (se pur vere) che non rientrino nel pubblico interesse e non siano riportate con obiettività e correttezza di forma;

– le frasi altrui con le caratteristiche di cui sopra, anche se riprese da altri e riportate tra virgolette.

Vi è poi da tenere in considerazione le seguenti circostanze:

– l’eventuale violazione del diritto all’onore viene valutato sia considerando le singole parole e sia nello scritto d’insieme;

– l’individuazione dell’effettivo destinatario dell’offesa è condizione essenziale perché vi sia una rilevanza penale; perché possa configurarsi la fattispecie, è sufficiente che il destinatario sia determinato o determinabile anche se non viene direttamente esplicitato il nome;

– poiché la “ditta” non è altro che il nome sotto il quale l’imprenditore esercita l’attività commerciale, l’addebito infamante rivolto all’impresa è riferibile in modo immediato e diretto all’imprenditore; in questo senso, la capacità di essere titolari dell’onore sociale e di essere soggetti passivi del reato non può essere esclusa anche nei confronti di entità giuridiche di fatto;

– per configurare il reato non è necessaria l’intenzione di offendere la reputazione (animus diffamandi) ma basta il dolo generico, cioè la volontà di usare espressioni offensive con la consapevolezza di offendere l’altrui reputazione (sez. 5 sent. 28661 del 30-06-2004).

In definitiva la manifestazione pubblica di un giudizio negativo sull’adempimento di un contratto costituisce espressione di diritto di critica, sempre che non travalichi nell’insulto e nel dileggio gratuito della controparte (Tribunale  Reggio Emilia 18 ottobre 2008). Facendo riferimento ai presupposti di rilevanza sociale, verità obiettiva e continenza, anche da chi diffonde via internet una notizia pur non essendo giornalista, vi è una efficacia scriminante ai diritti di cronaca e critica da chiunque e con qualsiasi mezzo esercitati (Cassazione penale  sez. V 01 luglio 2008 n. 31392).

Messaggio 18 di 29
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Può venditore intimorire utente di adire vie legali nel caso ricevesse negativo?

PARTE 2:

 

5. La diffamazione online come fattispecie complessa

E’ bene ripetere che vi sono degli elementi ben individuati dalla dottrina perché uno scritto possa realizzare le fattispecie di diffamazione. Come detto non basta una querela perché avvenga la condanna, potendo anche essere mossa in modo intimidatorio e infondato.

Allo stesso modo, non è neppure possibile aver paura di esercitare il proprio dissenso con la critica, che è lecita anche se pungente e spietata se effettuata nei modi consentiti dall’ordinamento.

La fattispecie è complessa perché comprensiva di una serie di elementi da analizzare sul caso specifico, in quel determinato contesto e periodo storico.

In alcuni casi la Cassazione ha ritenuto che non vi fossero gli estremi della diffamazione anche in casi limite di critica “di parte” prendendo atto che il giudizio di un articolo, che per definizione sostanzia la critica, non può essere rigorosamente obiettivo ed imparziale, in quanto “è ineludibile espressione del retroterra culturale e formativo di chi lo formula e, nel caso della critica politica, anche delle sue opzioni ideologiche” (sentenza n. 6419 del 16 novembre 2004).

Infatti l’art. 595 del codice penale va applicato considerando “scriminanti” abbastanza chiare per determinate situazioni che variano secondo l’argomento trattato, come ad esempio provocazioni subite, critiche di natura politica o compiute verso i personaggi pubblici, che in quanto persone notorie, sono fortemente meno tutelate da tale articolo (anche se spesso sono coloro che inspiegabilmente e più di tutti invocano la tutela giudiziale).

In generale, possiamo essere certi di rimanere al di fuori dell’ambito della diffamazione, anche qualora da una critica ne derivi una lesione all’eventuale prestigio altrui, a condizione che si tratti di un argomento di pubblico interesse (c.d. pertinenza), che siano rispettati i limiti dell’obiettività e della correttezza della forma espressiva (c.d. continenza) e che l’informazione sia vera e circoscritta al caso concreto, utilizzando sempre il buon senso nel raccontare il fatto.

In tema di diffamazione tramite internet, le opinioni veicolate “on-line” risultano rispettose del diritto di cronaca e di quello di critica qualora osservino i limiti rappresentati dalla rilevanza sociale dell’argomento, dalla verità obiettiva dei fatti riferiti e dal rispetto della continenza nelle espressioni utilizzate, che va accertata dal giudice di merito, Tribunale La Spezia 10 aprile 2009 n. 293.

Il problema degli utenti è la leggerezza con cui talvolta portano critiche poco costruttive, come spesso paragonare negozianti a “truffatori” semplicemente perché più cari di altri.

Se quindi, in alcuni casi si è stati vittime della “censura” preventiva dell’amministratore su determinati frasi sconvenienti, prima di ogni giusta lamentela è bene essere certi di aver letto e compreso le condizioni di servizio offerto dal forum di turno e il significato letterale degli aggettivi riportati (nel caso appena riportato il “truffatore” è colui che esegue la truffa con artifizi e raggiri previsti dall’art. 640 c.p.). Infatti la diffamazione a mezzo internet, potrebbe comportare anche una serie di aggravanti proprio perché rivolta ad un numero indeterminato di persone e per questo (a prescindere dalla natura editoriale del giornale/blog/forum ove risiede), gravosa in termini economici.

Fortunatamente parte della giurisprudenza ha decretato che nell’ipotesi di diffamazione a mezzo Internet non è applicabile la normativa prevista in ordine alla diffamazione a mezzo stampa, atteso che diversamente verrebbe violato il principio generale del divieto di interpretazione analogica “in malam partem” che vige in materia penale, Tribunale  Bologna 18 febbraio 2010 n. 508.

In tal senso, affinché possa parlarsi di stampa in senso giuridico (ai sensi della l. n. 47/1948, art. 1), occorrono due condizioni che certamente il nuovo medium internet non realizza: a) che vi sia una riproduzione tipografica (prius), b) che il prodotto di tale attività (quella tipografica) sia destinato alla pubblicazione e quindi debba essere effettivamente distribuito tra il pubblico (posterius). Il fatto che il messaggio internet (e dunque anche la pagina del giornale telematico) si possa stampare non appare circostanza determinante, in ragione della mera eventualità, sia oggettiva, che soggettiva. Sotto il primo aspetto, si osserva che non tutti i messaggi trasmessi via internet sono “stampabili”: si pensi ai video, magari corredati di audio; sotto il secondo, basta riflettere sulla circostanza che, in realtà, è il destinatario colui che, selettivamente ed eventualmente, decide di riprodurre a stampa la “schermata”,Cassazione penale  sez. V 16 luglio 2010 n. 35511.

In ogni caso è bene ricordare che la diffamazione tramite internet costituisce un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p., in quanto commessa con altro (rispetto alla stampa) mezzo di pubblicità. Del resto, essendo internet un potente mezzo di diffusione di notizie, immagini ed idee (almeno quanto la stampa, la radio e la televisione), anche attraverso tale strumento di comunicazione si estrinseca il diritto di esprimere le proprie opinioni, tutelato dall’art. 21 cost., che, per essere legittimo, deve essere esercitato rispettando le condizioni e i limiti dei diritti di cronaca e di critica, Cassazione penale  sez. V 01 luglio 2008 n. 31392.

Se i consumatori facessero valere i propri diritti con gli strumenti di cui abbiamo parlato relativamente alla “messa in mora” e “diffida ad adempiere”  muovendo critiche anche severe sui disservizi subiti ma senza riportare frasi ingiuriose, otterrebbero molto di più senza passare dalla parte del torto.>>

Messaggio 19 di 29
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Può venditore intimorire utente di adire vie legali nel caso ricevesse negativo?

Ed eccone un altro ancora, guardacaso, anche in questo vengono ribaditi i principi di verdicità,continenza, ed utilità sociale, e guardacaso, anch'esso scritto avvalendosi di avvocati, che guardacaso, dicono le stesse cose dei miei "inesistenti" avvocati.


"

Per questo articolo l'autore Lorenzo Franceschi- Bicchierai ha interpellato tra gli altri l'avvocato Francesco P. Micozzi, specialista di Diritto penale, dell'informatica e delle nuove tecnologie. Con l'esplicita autorizzazione degli interessati pubblico qui integralmente le domande e le risposte fornite da Micozzi. Penso siano utili a valutare attentamente, da un punto di vista tecnico, la questione del reato di diffamazione in Italia.

Ho visto il post di Tedeschini riguardante quei due casi di diffamazione in Italia per post su Facebook e TripAdvisor. Che ne pensi di questi due casi?

Occorre premettere che sempre più spesso a fare notizia è il fatto che qualcuno quereli o denunci qualcun altro e non, piuttosto, l'esito che, in giudizio, ha avuto quella determinata querela o denuncia.

Per rispondere a questa domanda occorre prendere le mosse dal disposto dell'art. 21 Cost. che prevede al primo comma che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione". Questa norma è una conquista di civiltà trasfusa in una norma sovraordinata (come quella costituzionale) che andrà a informare e guidare le norme sottordinate (come ad esempio l'art. 595 c.p. e tutte le altre fonti del diritto).

Nel nostro codice penale abbiamo le cosiddette scriminanti (o cause di giustificazione) - ossia quelle norme che prevedono che in determinate situazioni, un fatto che abbia astrattamente una rilevanza penale, diventa perfettamente lecito. La causa di giustificazione più famosa è la “legittima difesa” (art. 52 c.p.). Ma il nostro c.p. all'art. 51 contempla un'altra ipotesi: l'esercizio di un diritto ("L'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità").
Ciò significa che l'Ordinamento non può contraddirsi garantendo, da un lato, un diritto (alla libera manifestazione del pensiero) e poi imponendo una sanzione (penale in questo caso) per aver esercitato quel diritto.

La causa di giustificazione - nel nostro caso specifico – si risolve nell'“esercizio del diritto di critica” (species del genus "pensiero") che esclude la rilevanza penale. Ma è esclusa l'antigiuridicità in tutto l'Ordinamento e, quindi, anche con riferimento all'ambito civile: chi esercita un diritto non può neppure essere chiamato a risponderne in sede civile con una richiesta, ad esempio, di risarcimento danni.

Il diritto di critica, però, non ha una portata illimitata. E i limiti entro i quali occorre muoversi per evitare di incorrere in una responsabilità penale per diffamazione (nei casi presi ad esempio) sono stati definiti - nel corso degli anni - dalla giurisprudenza (soprattutto quella di legittimità).

Perché possiamo dire di trovarci nell'ambito del consentito dall'Ordinamento, ossia nell'esercizio del diritto di libera manifestazione del pensiero (che può risolversi, ad esempio, in diritto di critica, diritto di critica politica, diritto di satira, diritto di cronaca e così via), la Cassazione ha individuato delle direttrici fondamentali.

E con specifico riferimento all'esercizio del diritto di critica i tre criteri che devono essere contemporaneamente soddisfatti sono:

1) Verità obiettiva (l'Ordinamento non ritiene meritevole di tutela l'espressione di un pensiero in cui i fatti siano stati artificiosamente distorti ad arte)

2) Rilevanza sociale (la notizia deve avere una certa rilevanza nel pubblico. Nel caso di Tripadvisor la rilevanza è data dal fatto che chi naviga su Tripadvisor ricerca, solitamente, dei consigli basati sulle esperienze altrui).

3) Continenza (i termini adoperati non devono essere volgari o manifestamente sproporzionati rispetto al diritto che si intende esercitare)

La responsabilità dell'intermediario.

In USA abbiamo il caso Seaton vs Tripadvisor (in cui si è dato ragione a Tripadvisor). Però se consideriamo l'aspetto della responsabilità dell'intermediario della società dell'informazione (secondo le norme di cui al d.lgs. 70/2003 che ha recepito la direttiva europea sul commercio elettronico 2000/31/CE) entriamo in un campo molto vasto e il discorso rischierebbe di allargarsi a dismisura. Sarebbe, ad esempio, interessante – in quest'ambito – esaminare la sentenza Delfi vs Estonia.
Cercherò, perciò, di trattare le ipotesi di responsabilità “diretta” dell'autore del “post incriminato”.

Perché la legge in Italia permette l'instaurazione di questi procedimenti?

La legge consente a chiunque di proporre qualsiasi tipo di querela o denuncia, ma ciò non significa che ad esse conseguirà necessariamente una condanna del querelato/denunciato.

Si consideri che il principio dell’obbligatorietà dell'azione penale impone al PM di valutare la fondatezza di ogni notizia di reato che gli pervenga (anche a mezzo di denuncia o querela) e che, in relazione ad essa compia le necessarie indagini al fine di valutare se richiedere l'archiviazione formulare l'imputazione. Questo è un principio garantista funzionale al principio di legalità in base al quale è solo la legge a determinare i casi in cui si debba procedere penalmente nei confronti di qualcuno piuttosto che una scelta assolutamente discrezionale del PM.

Cosa credi che succederà in questi due casi?

Io penso che – attenendomi esclusivamente ai fatti riportati dai giornalisti riguardo ai due casi in esame – in questi casi siano rispettati i limiti normativi e giurisprudenziali del corretto esercizio del diritto di critica. Ritengo che il PM potrebbe decidere di richiedere al GIP l'archiviazione proprio perché dovrebbe riconoscere l'esercizio del diritto di critica. Qui il procedimento penale si arresterebbe alla fase delle indagini preliminari senza sfociare in un processo penale.

Nel caso in cui si andasse avanti (ovvero il PM decidesse di rinviare a giudizio l'indagato) ritengo che il Giudice potrà comunque assolvere sempre per le medesime ragioni.

Ti vengono in mente casi simili in Italia?

Qui bisogna fare un'altra breve premessa.

Quando si parla di diffamazione, il fatto che il reato sia commesso su internet, ad esempio con un post su Facebook, un tweet, una mailing list etc., non determina una qualche anomalia del sistema giuridico. Non vi è alcuna differenza (a parte il discorso sulle aggravanti) tra una diffamazione commessa in rete o nel mondo “analogico”. Chi sostiene che Internet sia una prateria senza padroni né regole sbaglia. Il “qualsiasi altro mezzo di pubblicità” previsto dal terzo comma dell'art. 595 c.p. ricomprende certamente anche le ipotesi di diffamazione commesse in Internet. La differenza è che la diffamazione commessa a mezzo Internet – per la sua enorme capacità diffusiva – è una diffamazione aggravata rispetto all'ipotesi semplice.

Per quanto riguarda i casi “simili” in Italia possiamo considerare, ad esempio, il caso deciso dal Tribunale (civile) di Genova in cui un soggetto aveva espresso pesanti commenti critici su un sito web specializzato in componenti elettroniche sull'assistenza prestata dalla società attrice in relazione alla riparazione di una videocamera Panasonic.

Il Tribunale di Genova, nella sentenza, prevede:

“La causa ha ad oggetto un tema sempre più diffuso e di indubbio interesse relativo allo scambio di informazioni in rete tra utenti di servizi e/o acquirenti dì prodotti.
In particolare sono note le recensioni che appaiono su siti Web come Booking.comVenere.com., Tripadvisor, Amazon e simili, relative alla qualità delle prestazioni offerte da alberghi e ristoranti o alle caratteristiche e valutazioni sui prodotti offerti in vendita accompagnate dal giudizio espresso dai consumatori che hanno già utilizzato detti servizi o acquistato i beni.
"Non vi è dubbio che tale scambio di opinioni, purché esercitato in termini di correttezza e comunque dì genuinità delle informazioni trasmesse, sia utile a chi si approccia ad avvalersi di un servizio o ad acquistare un oggetto, potendo liberamente valutare una serie di dati che, diversamente, solo con fatica e dispendio di tempo potrebbero essere acquisiti.
"Recentemente è stato anche dibattuto il diverso problema relativo alle finte recensioni, non solo dispregiative, ma anche immeritatamente elogiative, di strutture alberghiere e/o di servizi turistici, inserite da soggetti concorrenti o, al contrario, amici, dell'esercizio esaminato, al fine di poterne elidere, in entrambi i casi, gli effetti dannosi.
"Chiunque si avvicini ad uno di questi siti sa comunque che un solo giudizio, negativo o positivo, quand'anche sia espresso in termini categorici, non può da solo determinare un reale sviamento di clientela od un incremento della stessa, posto che solo più giudizi, espressi in termini di positività o negatività, possono creare un potenziale pregiudizio a chi ne sia stato oggetto e sono legittimi quando non siano veritieri o siano redatti in termini offensivi".

La sentenza in questione (in cui la società attrice citava in giudizio - civile - chi aveva espresso una critica al loro servizio di assistenza su un sito web al fine ottenere un risarcimento del danno per un'asserita diffamazione) conclude: "Si ritiene pertanto che il sig. F.S. abbia esercitato il diritto di critica nell'ambito dei requisiti che ne determinano la legittimità con la conseguenza che devono essere respinte le domande proposte dalla società attrice tanto nei suoi confronti quanto nei confronti della rivista informatica che tale documento ha pubblicato".

Ma, ai fini di ribadire quanto sopra già detto, sarà utile proporre il testo di una recente sentenza della Cassazione (V sez. pen. sent. n. 36357/2012):

"Come è noto, il diritto di critica, purché non esercitato con modalità esorbitanti rispetto agli scopi per i quali è riconosciuto e garantito dall'Ordinamento (in primis dalla libertà di manifestazione del pensiero sancita dall'art. 21 della Costituzione e dall'art. 10 della CEDU), ha l'effetto di scriminare la condotta astrattamente riconducibile al paradigma normativo di cui all'art. 595 c.p.. Se è vero, infatti, che “la critica all'esercizio dei pubblici poteri deve essere ampia e penetrante perché i cittadini debbono poter conoscere il funzionamento della cosa pubblica e formarsi una opinione corretta sui fatti che si verificano”, essa, tuttavia, “non deve mai trasmodare in attacchi personali e deve sempre essere rispettosa dei criteri della verità dei fatti che costituiscono il presupposto della critica, della continenza espressiva e, ovviamente, dell'interesse pubblico per i fatti raccontati - esercizio del diritto di cronaca - e criticati” ".

Si consideri, in conclusione, che i criteri per individuare i confini della diffamazione sono identici sia nei procedimenti civili che in quelli penali."

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