Sono sempre stato affascinato dalla stupidità.
La mia, naturalmente. E questa è già una grossa fonte di preoccupazione.
Ma le cose si complicano molto quando abbiamo l’occasione di scoprire come persone potenti e influenti prendono “grandi” decisioni con “grandi” conseguenze.
Tendiamo spesso ad attribuire decisioni sbagliate (o catastrofiche) a intenzionale perversità, astuta cattiveria, megalomania, eccetera. Questi comportamenti ci sono – e in esagerata abbondanza. Ma un attento studio della storia (come degli avvenimenti in corso) porta all’inevitabile conclusione che la principale causa di terribili errori è una: la stupidità.
Questo è un fenomeno abbastanza noto. Uno dei modi in cui è riassunto è
il cosiddetto Rasoio di Hanlon: «Non attribuire a consapevole malvagità ciò che può essere adeguatamente spiegato come stupidità».
Uno fra tanti esempi di stupidità è l’uso dell’aggettivo “machiavellico” per cose e comportamenti che poco hanno a che fare con l’opera e il pensiero di Nicolò Machiavelli. Abitudine diffusa anche fuori dell’Italia, dove del suo pensiero si sa ancora meno che da noi.
Quando la stupidità si combina con altri fattori (come succede spesso) l’effetto può essere devastante.
Una cosa che mi sorprende (o forse no?) è quanto poco studio si dedichi a un argomento così importante. Ci sono dipartimenti universitari che si occupano delle complessità matematiche dei movimenti delle formiche in Amazzonia o della storia medievale dell’isola di Perim. Ma non mi risulta che ci siano cattedre di stupidologia.
Ho trovato pochi buoni libri sull’argomento. Ce n’è uno che ho letto quando ero un ragazzino – e non ho mai dimenticato. Si chiama A Short Introduction to the History of Human Stupidity di Walter B. Pitkin della Columbia University ed era stato pubblicato nel 1934. L’avevo trovato per caso, molti anni fa, in uno scaffale di vecchi libri in casa di mia madre. Sono andato da lei ieri e ho avuto la lieta sorpresa di scoprire che era ancora lì. Vecchio com’è, è ancora un buon libro. Molte delle osservazioni del professor Pitkin sono di grande attualità dopo più di sessant’anni.
Viene spontanea una domanda: perché un libro di 300 pagine si chiama “breve introduzione”?
Il libro si conclude con un epilogo: «ora siamo pronti a cominciare lo studio della storia della stupidità». Poi... più nulla.
Il professor Pitkin era saggio. Sapeva che un’intera vita è troppo breve per poter approfondire anche solo qualche frammento di un argomento così vasto. Perciò pubblicò l’introduzione – e basta.
Pitkin era cosciente della scarsità di lavori precedenti in quel campo. Mandò una squadra di ricercatori a esplorare gli archivi della Central Library a New York. Trovarono solo due testi sull’argomento: Aus der Geschichte der menschlichen Dummheit di Max Kemmerich e Über die Dummheit di Leopold Loewenfeld. Purtroppo non so il tedesco – ma i titoli sono abbastanza chiari. Immagino che Kemmerich e Loewenfeld abbiano avuto abbondanza di materiale per i loro studi, visto ciò che è accaduto in Germania nel 1933 e nei dodici anni seguenti.
Evidentemente esistono molti libri e documenti in cui si parla, in un modo o nell’altro, di stupidità. Ma pochi (che io sappia) in cui si tenta un inquadramento sistematico dell’argomento e si cerca di definire il concetto di stupidità e di individuarne i meccanismi e gli effetti.
Secondo Pitkin, quattro persone su cinque si possono definire “stupide”. All’epoca in cui ha scritto il suo libro erano un miliardo e mezzo di persone. Oggi più di quattro miliardi. Questo, in sé, è piuttosto stupido.
Una fondamentale osservazione di Pitkin è che uno dei motivi per cui è difficile studiare la stupidità è la mancanza di una buona definizione di che cosa sia. Per esempio i geni sono spesso considerati stupidi da una maggioranza stupida (non è facile neppure definire che cosa sia il genio). Ma la stupidità palesemente esiste. E ce n’è molta più di quanto possiamo immaginare nei nostri peggiori incubi. Infatti governa il mondo – cosa ampiamente dimostrata dal modo in cui il mondo è governato.
Qualcuno, 54 anni dopo, ha proposto un’analisi molto interessante della stupidità. Carlo M. Cipolla, professor emeritus di storia dell’economia a Berkeley. Tutti i suoi libri sono in inglese – meno tre. Il primo, Allegro ma non troppo, è stato pubblicato a Bologna da Il Mulino nel 1988.
In quel libro c’è un piccolo saggio intitolato Le leggi fondamentali della stupidità umana. Probabilmente il miglior testo che sia mai stato scritto sull’argomento.
http://www.gandalf.it/stupid/stupidit.htm

"...pensavo è bello che dove finiscono le mie dita
debba in qualche modo incominciare una chitarra."(Faber)
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