Flaubert aveva già creato lo stereotipo che gli
s'attaglia:
La storia di Bouvard e Pécuchet è nota: due
copisti vengono gratificati da un'eredità improvvisa;
si ritirano in campagna dove, con un accanito e
delirante sperimentalismo, mettono in atto le scienze,
le dottrine, le credenze del loro tempo, passando da
un fallimento all'altro, finché si riducono alla
fine di nuovo dietro uno scrittoio a copiare le
parole che non hanno né spiegato né modificato
il mondo.
La storia di due idioti; la storia della stupidità,
è stato scritto.
[In realtà questo è il libro più intimo e lacerante
che Flaubert abbia scritto. Libro diabolico, dice
nelle sue lettere, in cui egli esala la sua
collera contro il mondo, e, come abbiamo già detto,
di una difficoltà spaventosa, di dottrina e
di esecuzione. Abbiamo già visto come Flaubert
fosse convinto che un'immensa, metafisica,
incrollabile stupidità, un'armatura di luoghi comuni,
di frasi fatte, di credenze e ideologie
accettate, coprisse la sostanziale nullità del mondo.
E come in tutto questo egli vedesse una sola
speranza: riuscire a tenere insieme il mondo dei
fatti costruendo con il rigore estremo della
scrittura, con il suo ethos, con la moralità che
è implicita nell'opera d'arte perfetta, una rete
sospesa su questo stesso nulla.]
Bouvard e Pécuchet vanno oltre. Vanno oltre il punto
che Flaubert aveva raggiunto prima di
incontrarli. Prendono sul serio non i luoghi comuni,
ma le scienze, la filosofia, la religione, la
politica, le tecniche. Si applicano a esse con
accanito furore, e le spingono fino alla loro
verità ultima: alla loro incapacità di dare risposta
al mistero del mondo; alla loro incapacità di
modificare il mondo. E quando, alla fine, si mettono
a copiare qualsiasi cosa, denunciano che...
...anche l'illusione di Flaubert di tenere insieme
il mondo nella scrittura e nell'opera d'arte
è finita.
°
)(
Sophie.